Più scappi dalle cose, più quelle ti rincorrono.
La pesantezza non permea la tua famiglia perché la sta portando tuoi figlio, ma perché stai cercando di evitarla.
Tuo figlio è solo una cartina di tornasole, che indica, in modo preciso e attendibile, quanta pesantezza, nascosta, è già presente.
Le mamme che mi chiedono aiuto, arrivano sempre appesantite.
Le dinamiche familiari sono pesanti.
Spesso é pesante anche il rapporto con il padre dei figli.
Pesante è il lavoro.
Pesante può essere la relazione con i tuoi genitori.
Ma, in consulenza, le mamme mi dicono che ad essere pesante, e a causare la pesantezza familiare, è sempre, e solo, il figlio.
Voglio che nella mia famiglia si respiri leggerezza
Non me lo chiedono direttamente, ma per me è chiaro che cercano aiuto per avere una vita più leggera.
Lo schema è questo, ed è semplice.
C’è la pesantezza, perché nessuno, in quella famiglia, è in grado di starci dentro, o di attraversarla.
Il figlio viene individuato come colui che porta la pesantezza, l’abbiamo detto, ma la verità è che i figli risvegliano la pesantezza già presente, ma negata.
Immagina una persona che cerca di dimenticare i problemi, bevendo.
Cioè, una persona che scappa dalla pesantezza dei problemi, e si rifugia nella leggerezza dell’alcol.
L’alcolizzato non riesce ad affrontare la pesantezza delle sue difficoltà.
Lo so io, così come lo sai tu: i suoi problemi non solo non spariranno, ma diventeranno ancora più pesanti.
Sono sicuro che il paragone con chi beve per fuggire dalla pesantezza, ti sembra esagerato.
Più scappi dalla pesantezza, più la vedrai ovunque. (attenzione selettiva e ombra Junghiana)*
La vedrai anche dove non c’è.
Anche le normali difficoltà di un adolescente, ti appariranno come pesanti.
Ti cibi di pesantezza attraverso le notizie che leggi.
Poi scappi dalla pesantezza, proprio come l’alcolizzato che si perde nella bottiglia, e ti rifugi nella leggerezza esagerata o, se preferisci, nella superficialità.
Il giorno dopo, al tuo risveglio, la pesantezza sarà lì ad aspettarti, ancora più pesante di come l’avevi lasciata
Non sono i figli che portano la pesantezza nelle famiglie, anche se a te sembra il contrario.
La verità, e chiudo, è che i figli respirano la pesantezza, ma non lo possono dire, perché non si può, appunto, dire che c’è.
Non possono farlo presente, né indirettamente, né tanto meno direttamente perché, quando lo fanno, vengono accusati di essere irriconoscenti per tutti gli sforzi che i genitori hanno fatto, e che stanno facendo.
Il figlio infelice rende la mamma pesante: questo è ciò che arriva al figlio.
Quindi il figlio seguirà le orme dei genitori: inizierà a negare a se stesso che c’è molto pesantezza dentro di lui.
A questo punto la pesantezza la farà da padrona, ma sia mai che qualcuno si permetta di dire che c’è.
La pesantezza è dentro di noi, ma non siamo ancora riusciti né ad accettarla, né ad attraversarla.
Tuo figlio ti sta facendo da specchio, e prende su di sé l’ombra familiare.
Dovresti ringraziarlo, perché:
1. Prende la pesantezza familiare sulle sue spalle.
2. Ti sta dando la possibilità di rivedere la tua relazione con la pesantezza.
La scelta è tua: o continui a rincorrere una leggerezza virtuale, come quella alcolica, oppure mi chiedi una consulenza per aiutarti a vedere dove si annida la pesantezza nella vostra famiglia, e come fare per accettarla prima e trasformarla poi.
Con Leggerezza (appunto
) e Grinta, Paride.
*Attenzione selettiva e ombra personale.
FAQ – Domande Frequenti
1. Cosa si intende esattamente per “pesantezza”?
La “pesantezza” non è solo stress o stanchezza momentanea. È un’atmosfera carica di tensioni inespresse, problemi non affrontati, emozioni represse (come rabbia, delusione, frustrazione o tristezza) che permeano le relazioni familiari. Può provenire dal lavoro, dalla coppia, dal rapporto con i propri genitori, o da aspettative personali irrealizzate.
2. Perché mi sembra così chiaramente che sia mio figlio adolescente il problema?
È un meccanismo psicologico di difesa chiamato “proiezione”. Quando una difficoltà è troppo grande o dolorosa da riconoscere in noi stessi o nella dinamica di coppia, la proiettiamo su un elemento esterno. Il figlio, con il suo comportamento “sintomatico” (chiusura, ribellione, malessere), diventa il capro espiatorio perfetto perché rende visibile e tangibile il disagio che già esisteva.
3. Cosa significa che mio figlio è una “cartina di tornasole” o uno “specchio”?
Significa che il suo comportamento e il suo malessere non sono la causa, ma un sintomo fedele e un riflesso dello stato emotivo della famiglia. Assorbe l’atmosfera non detta e la manifesta attraverso di sé. Se in famiglia c’è tensione repressa, lui la “respira” e la esprime, spesso in modo inconsapevole.
4. Il paragone con l’alcolista non è esagerato?
L’articolo usa una metafora forte per illustrare un principio universale: la fuga non risolve il problema, lo aggrava. Come l’alcolista fugge nella bottiglia per evitare la realtà, gli adulti (e le famiglie) possono fuggire nella “leggerezza esagerata” (superficialità, iper-attivismo, negazione), nelle distrazioni continue o, appunto, nell’incolpare qualcun altro. Il risultato è lo stesso: la pesantezza, non affrontata, cresce.
5. Cosa sono l'”attenzione selettiva” e l'”ombra” di cui parla l’articolo?
- Attenzione selettiva: Quando siamo focalizzati su un problema (es. “mio figlio è pesante”), tendiamo a notare solo gli elementi che confermano questa convinzione, ignorando il resto. Così ogni suo atteggiamento diventa la prova della “sua” pesantezza.
- Ombra (Jung): È la parte di noi che rifiutiamo, nascondiamo o non accettiamo (la nostra “pesantezza” interiore). Senza rendercene conto, la proiettiamo sugli altri. Il figlio, quindi, potrebbe stare portando l'”ombra” emotiva che l’intero nucleo familiare non riesce a riconoscere.
6. Perché mio figlio non dice nulla se percepisce questa pesantezza?
Spesso i figli, soprattutto adolescenti, sentono di non avere il “permesso” di parlare di certe atmosfere. Temono di ferire, di essere ingrati, o di non essere compresi. Il messaggio implicito che ricevono è: “Il tuo malessere ci appesantisce ulteriormente”. Quindi imparano a negare a se stessi le proprie emozioni, perpetuando il ciclo.
7. Cosa posso fare concretamente se mi ritrovo in questa descrizione?
Il primo, fondamentale passo è spostare lo sguardo. Invece di chiederti “Cosa c’è che non va in mio figlio?”, inizia a chiederti: “Che cosa sta comunicando mio figlio, con il suo comportamento, sull’atmosfera di questa famiglia? Quali tensioni non affrontate esistono tra gli adulti? Dove, nella mia vita, sto fuggendo dalla pesantezza?”.
8. In che modo una consulenza può aiutarmi?
Una consulenza non ha l’obiettivo di “cambiare tuo figlio”. Ti aiuta a:
- Vedere il sistema: Identificare dove si annida realmente la pesantezza (nelle relazioni, nel lavoro, nella coppia, nelle aspettative).
- Accettare e attraversare: Smettere di fuggire e sviluppare gli strumenti emotivi per stare dentro alla complessità, senza annegare.
- Trasformare la dinamica: Quando l’adulto smette di proiettare e inizia a prendersi cura della pesantezza alla radice, l’intero clima familiare cambia. Il figlio, non più investito del ruolo di “portatore di pesantezza”, può iniziare a liberarsi del suo carico sintomatico.
9. Sto ammettendo di essere un genitore fallito?
Assolutamente no. Ammettere che la famiglia sta vivendo un momento di difficoltà e che forse la soluzione non è “aggiustare il figlio” è un atto di enorme coraggio e responsabilità. È il primo passo verso un’autentica leggerezza, che nasce dall’onestà e non dalla fuga. Tuo figlio, inconsapevolmente, ti sta offrendo un’opportunità di crescita per tutta la famiglia.
10. Qual è il messaggio finale dell’articolo?
La scelta è tra due strade:
- Continuare a rincorrere una leggerezza virtuale (negando, biasimando, fuggendo), che lascia la pesantezza sempre al comando.
- Intraprendere un percorso per accettare, attraversare e trasformare la pesantezza già presente, con l’aiuto di una guida esperta. Questo è il percorso che conduce a una leggerezza autentica, quella che si può respirare solo dopo aver guardato in faccia il peso e averlo integrato.